Silvia Montefoschi 
Silvia Montefoschi (1926 – 2011) medico e psicoanalista, nasce a Roma nel 1926.
Dopo gli studi di biologia si orienta verso la psicologia del profondo ad indirizzo junghiano e nel 1952 inizia la sua analisi con Ernst Bernhard.
Membro fondatore, nel 1961 insieme a Bernhard, dell’Associazione Italiana di Psicologia Analitica (AIPA). Dalla metà degli anni ’70 il lavoro psicoanalitico di Silvia Montefoschi è intenso, appassionato e creativo; si intrecciano relazioni di scambio e di ricerca con molti allievi e intellettuali accorsi attorno a lei (tra gli altri: Alessandro Peregalli, Lella Ravasi Bellocchio, Antonino Messina, Marco Garzonio, Ugo Garlaschini, Lalla Montanari, Adriano Alloisio, Bruno De Maria, e successivamente Marina Valcarenghi, Claudio Risè e Cesare Viviani) e collaborazioni con i colleghi del Centro Studi di Psicoterapia Clinica di Pier Francesco Galli. Esce spontaneamente dall’AIPA e dalla Società Internazionale di Psicologia Analitica per coerenza alla sua linea di pensiero circa l’incompatibilità delle strutture gerarchiche istituzionalizzate con lo sviluppo della personalità dell’analista. Si dedica così esclusivamente alla pratica psicoanalitica impegnandosi nella teorizzazione di un metodo conoscitivo e trasformativo originale che scaturisce dalla prassi stessa che scopre e promuove la dinamica dell’evoluzione della coscienza umana.
Una mente illuminata nel panorama della psicoanalisi italiana, tutta dedita al costante sviluppo della conoscenza e della ricerca. Una vita vissuta fino all’ultimo nella consapevolezza che ogni suo personale evento fosse l’attuazione dell’universalità dell’umano. Silvia Montefoschi ha scritto molto perché ogni suo testo è il frutto della riflessione svolta con “l’altro del discorso” (come chiamava i suoi interlocutori) a testimonianza della continua evoluzione del pensiero.
Successivamente alla pubblicazione dei primi articoli più specificamente junghiani, Silvia Montefoschi elabora un pensiero originale e nel ’77 pubblica per Feltrinelli il suo primo libro, L’uno e l’altro. Interdipendenza e intersoggettività nel rapporto psicoanalitico. In esso riflette sulla propria esperienza clinica e ne trae la descrizione di quella che considera la tensione universale delle relazioni e dei rapporti umani: il passaggio dalla dinamica interdipendente di rapporto, basata sul reciproco appagamento dei bisogni, a quella intersoggettiva che «su null’altro si fonda se non sulla reciproca esistenza».
Silvia Montefoschi aborriva una psicoanalisi chiusa nella stanza dell’analista e relegata al dialogo personalistico con l’inconscio. La psicoanalisi per lei doveva essere anche motore di trasformazione sociale, in particolare della condizione della donna, da sempre identificata nel ruolo di portatrice della vita biologica e dei bisogni materiali (maternità, famiglia), con inevitabile delega del lavoro della ricerca dello spirito (filosofia, scienza, religione, politica) all’uomo. Guardava però criticamente la protesta femminista del ’68 che rinnegava il maschile, piuttosto sentiva la necessità da parte della donna di doversi legittimare la propria “capacità consapevole di pensiero” per entrare in dialogo con l’uomo. La psicoanalisi perciò è sempre stata per Silvia la via che apre all’uomo e alla donna la strada per divenire entrambi Soggetti in dialogo intersoggettivo, sia sul piano del pensiero, sia sul piano dell’amore.
Ho lavorato nella ricerca con Silvia Montefoschi dal 1998 al 2011, contribuendo a sviluppare il metodo della psicologia analitica intersoggettiva e le sue applicazioni cliniche.
Bibliografia
Gli scritti di Silvia Montefoschi sono pubblicati integralmente nei cinque volumi delle Opere, edite dalla Zephyro e acquistabili online.