Lettera inviata ai giornali – 20 marzo 2020

Caro Direttore,

in questi giorni siamo bombardati unicamente da notizie sul Covid-19 con le difficoltà degli ospedali, delle terapie intensive, della carenza di medici e di personale sanitario.

Sono un primario psichiatra di un grande centro di riabilitazione psichiatrica del privato accreditato con la Regione Lombardia a Cernusco sul Naviglio. Il nostro centro, molto noto sul territorio lombardo, è composto da tante comunità terapeutiche che accolgono più di 350 pazienti di ogni età e affetti dalle patologie più diversificate: schizofrenia, disturbi di personalità, disturbi alimentari, disabilità psichica, psicogeriatria, pazienti autori di reato. Mi sono deciso a scriverle perché siamo stati lasciati soli a gestire in totale autogestione l’emergenza. Facciamo fatica a reperire i dispositivi di protezione individuale sufficienti  (mascherine, camici monouso) e non ci vengono effettuati tamponi, nonostante si senta proclamare che sono assicurati per tutto il personale sanitario che lavora negli ospedali e nei casi di pazienti sintomatici. È estenuante dover temere il contagio incontenibile a ogni nuovo caso di febbre, senza avere la possibilità di fare una diagnosi certa e così intervenire in modo più tempestivo ed efficace.

I numeri dei decessi che sentiamo quotidianamente in televisione sono sconvolgenti, ma dobbiamo pensare anche alla lotta per evitarli, alla prevenzione messa in atto perché le persone non si contagino e non si ammalino. Non esistono perciò solo le terapie intensive e le unità di rianimazione, esistono anche gli sforzi di chi, come noi, cercano di evitare il più possibile un’epidemia comunitaria nella pandemia. È più di un mese che io e i miei colleghi non facciamo più gli psichiatri; operiamo come internisti, cardiologi, dermatologi, pneumologi, per evitare in ogni modo gli invii in pronto soccorso dei pazienti che si ammalano di patologie altre dal coronavirus e così non sovraccaricare i nostri colleghi oberati di lavoro e scongiurare il contagio in ospedale.

Ultimamente le case di riposo per anziani, decimate dal Covid-19, stanno facendo sentire la voce della solitudine e disperazione. È una situazione inaccettabile che ci fa tutti interrogare. Chiedo però che ci si ricordi che esistono anche i pazienti psichiatrici. L’oblio della malattia mentale è sempre stato il destino della psichiatria, come ha scritto Michel Focault: il paziente psichiatrico, come un tempo il lebbroso, è l’escluso ed è stato sempre ai margini della società civile e delle città. I manicomi erano cittadelle a parte e, anche se sono stati chiusi, possono continuamente rinascere nella marginalità territoriale e nello stigma che la malattia mentale porta con sé.

Eppure, la consolazione e il sostegno più grande in questi difficili giorni viene proprio dai pazienti. Il nostro centro ha chiuso le porte ai contatti con l’esterno ben prima che i tentennamenti governativi finalmente imponessero a tutti di stare a casa. In questa situazione di autoreclusione preventiva i pazienti sono quelli che hanno compreso di più. Hanno accettato di non uscire dalle comunità e di non vedere i propri cari, ci fanno sentire la loro vicinanza per tutto quello che cerchiamo di fare, ci ringraziano e ci infondono il coraggio di non mollare. Ho voluto scrivere questa lettera proprio per loro, per avere un aiuto in più, ma soprattutto perché ci possiamo tutti ricordare che il disagio psichico continua ad esistere e che anche la psichiatria è in prima linea in questa “guerra” epocale.

Paolo Cozzaglio, Milano